martedì 19 ottobre 2010

Rompere lo schema

* di Luigi Fiammata

Il 30 luglio scorso il Governo ha presentato il suo “Piano triennale del Lavoro”.
Un Piano generale che attende di essere tradotto in concreti provvedimenti legislativi, e che già vive, in parte, in alcune delle ultime vicende contrattuali e legislative del nostro Paese.

Il Piano dà per acquisiti una serie di presupposti:

  • Parità di potere contrattuale tra Lavoratore e Datore di Lavoro, e conseguente venir meno di ogni funzione contrattuale collettiva;

  • Inutilità della regolazione legislativa dei rapporti di lavoro in presenza di pattuizioni contrattuali o deliberazioni e certificazioni di Enti Bilaterali tra Parti non bene identificate nella loro effettiva rappresentatività e titolarità contrattuale;

  • Cancellazione di ogni gerarchia delle fonti; anzi, sulla scorta di un principio di sussidiarietà molto spinto, le scelte operate al livello più vicino al Lavoratore sono le sole valide, a prescindere da princìpi la cui vera essenza è la loro continua derogabilità;

  • Sostanziale coincidenza degli interessi, tra Lavoratore e Datore di Lavoro nella competizione globale, che le Parti sono chiamate a favorire;

  • Il mondo del lavoro negli ultimi anni è profondamente cambiato e richiede che le scelte legislativo-contrattuali accompagnino la de-regolazione facendola divenire consenso.


Siamo in presenza della lucida volontà di sancire legislativamente un profondo regresso nelle relazioni sociali, che lascia il Cittadino-Lavoratore solo davanti alle scelte unilaterali di impresa. Si vuole sancire un cambiamento, che c’è stato, dei rapporti di forza, e farlo diventare la base per una duratura inferiorità della generalità delle Lavoratrici e dei Lavoratori. Minore libertà dentro i rapporti di lavoro e nella società è l’obiettivo da cogliere nella crisi economica.

Il capitolo centrale del piano triennale si chiama “Liberare il lavoro dal conflitto individuale e collettivo”. Tale strategia, si fonda su tre pilastri:


  1. “Arretramento del centralismo regolatorio”, e cioè la cancellazione, di fatto, della autonomia contrattuale del Sindacato, il cui unico ruolo è individuato nella contrattazione delle deroghe ( a Leggi e Contratti ), ad ogni livello: di Settore, di Impresa, di Territorio. E’ la situazione produttiva e di mercato dell’Impresa a determinare lo status del Lavoratore, in termini di Diritti, di Salario, di Stato Sociale, di stabilità occupazionale;

  2. Gli Enti Bilaterali ( da sostenere e rafforzare quale luogo in cui le Parti, non identificate nella loro effettiva Rappresentanza e Rappresentatività, si mettono al servizio di Imprese e Lavoratori ), articolati a più livelli, in modo da essere “vicino” al concreto svolgersi dei rapporti di lavoro, divengono la sede in cui Diritti Universali della Persona, sono modulati secondo le esigenze dell’Impresa sul mercato, differenziati per Settori, Territorio o dimensioni. E’ negli Enti Bilaterali che si definiscono e gestiscono: previdenza, sanità, salute e sicurezza, formazione, collocamento, ammortizzatori sociali ( integrazione al reddito per inattività ), flussi migratori stagionali, uso dei Voucher ( gli “assegni”, comprensivi di salario e contribuzione che devono far emergere il lavoro “non totalmente irregolare” ), il rapporto con le Associazioni di Impresa per sensibilizzarle a comportamenti corretti.

  3. Lo Stato Sociale non ha più il compito di garantire eguaglianza nelle prestazioni, ma è fondato su più “pilastri”, nel caso di Sanità e Previdenza, cui si contribuisce volontariamente e/o obbligatoriamente ( non si parla più di Sanità o Previdenza “integrative” di un servizio pubblico eguale per tutti ); l’imposizione fiscale si deve spostare dalla progressività su persone o imprese, verso il prelievo su cose o consumi; la Formazione, anche l’alta formazione, si sposta dentro l’Impresa, “in pieno assetto produttivo”, attraverso l’Apprendistato; Scuola e Università diventano il luogo dell’incontro tra Domanda e Offerta di lavoro e quanto più questo incontro avviene, tanto più si definisce il “successo” della singola Scuola o Università.
    Un sistema che ha come obiettivo implicito il perpetuarsi delle diseguaglianze in un Paese come l’Italia, già caratterizzato da scarsissima mobilità sociale.

Su tutto, si erge il superamento dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori, sostituito dallo Statuto dei Lavori, da cui scompaiono i Diritti. Sono tre le attribuzioni che spettano ad ogni Lavoratore:
a) Il diritto ad un ambiente di lavoro sicuro;
b) Il diritto ad un compenso equo, commisurato cioè ai risultati di impresa,
c) Il diritto ad accrescere costantemente le proprie competenze e conoscenze, quale unico strumento della stabilità occupazionale.

Naturalmente, ciascuno di questi “diritti”, non può essere imposto dall’alto, ma “promosso” dalle Parti Sociali, e modulato, e derogato, a secondo delle situazioni di Impresa, dei Settori e dei Territori.

Si tratta dunque di una strategia complessa, articolata su più livelli, e che investe l’intero assetto sociale del Paese. Occorre rispondere. Ma per rispondere, occorre rompere un doppio schema: quello che, da una parte, di fronte alle scelte governative, si abbandona ad esorcismi di rito, e quello che, dall’altra, pensa che l’unica strategia possibile, sia quella della ricerca di un impossibile “male minore”.
Bisogna prendere atto, tra le altre cose, che:

  • C’è una reale crisi della contrattazione;
  • Il mercato del lavoro ormai produce solo precarietà;
  • In tempo di crisi, può avere un vasto consenso la risposta di “servizio” ai Lavoratori, sostituendo la Sanità pubblica sottoposta a tagli con l’Assicurazione, promettendo un qualche lavoro precario al figlio al posto della disoccupazione, mettendo in primo piano gli interessi dell’Impresa nella competizione, come unica certezza per la stabilità occupazionale;
  • Una fetta sempre più grande di mondo del lavoro ( dai precari ai Lavoratori di piccole e piccolissime imprese ), non ha quasi alcun rapporto con le Organizzazioni Sindacali;
  • Sono molti i Lavoratori che vengono nelle nostre sedi a cercare risposte individuali ai problemi, a partire dalla ricerca di lavoro che chiedono a noi di mediare.

Dobbiamo avere il coraggio di cercare una risposta contrattuale alle contraddizioni di questa fase. La risposta alla crisi parte inevitabilmente dalla lotta per un nuovo modello di sviluppo, ma dentro questa lotta ci deve essere lo spazio per sperimentare una dimensione collettiva della contrattazione dentro anche esigenze individuali, come avrebbe detto Bruno Trentin.
Non devo qui sottolineare l’importanza dei Diritti della persona che consideriamo indisponibili, o il valore dei Contratti Nazionali, o quanto sia fondamentale per il Sindacato mantenere autonomia contrattuale. E non devo sottolineare l’importanza politica della proposta complessiva della CGIL in tema di riforma degli Ammortizzatori Sociali. Ma penso che dobbiamo affrontare, per via contrattuale, tutte le questioni che il Governo vuole ridurre alla gestione derogata degli Enti Bilaterali. Tutte le questioni, nessuna esclusa. E penso che dobbiamo ricostruire l’ “ordinario”.
In Abruzzo, ad esempio, non abbiamo una Legge regionale sul Collocamento, e quella sull’Apprendistato è stata osservata per incostituzionalità dallo stesso Governo. E non abbiamo in Abruzzo una seria Politica Attiva del Lavoro, che agisca sulla disoccupazione, in particolare quella di lungo periodo e quella femminile. La lotta per la stabilizzazione del Lavoro precario è troppo episodica e troppo spesso condotta direttamente dagli interessati che non si fidano di un Sindacato che appare rappresentare solo gli interessi di chi è già garantito.
Così come l’intervento sul lavoro nero è troppo casuale e slegato da una seria politica economica che qualifichi il tessuto delle imprese e le spinga a competere sul piano della qualità piuttosto che su quello dei costi. Permangono drammatiche sacche di lavoro irregolare che, attraverso inquadramenti contrattuali fasulli servono solo a tenere in piedi imprese, legate alla pubblica amministrazione, o private, che hanno trovato un modo elegante di camuffare lo sfruttamento.

Se non decideremo di intervenire su questi temi, con una strategia articolata e coerente, da far vivere prioritariamente come concreto impegno quotidiano e generoso, saremo realmente isolati. Perché non contratteremo più nulla delle concrete condizioni materiali di tutti quelli che ogni giorno entrano in un nuovo mondo del lavoro. Forse li incontreremo per fare una vertenza, o offrire loro un servizio. Forse. E solo quando saranno usciti dal loro luogo di lavoro.

E’ su questi temi che la CGIL vede messa in discussione la sua stessa ragione d’essere. E non può restare ferma.



* Segretario Generale FLAI CGIL - L'Aquila




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