venerdì 15 ottobre 2010

La mobilità di Brunetta

* di Luca Fusari

Il D.Lgs. 27 ottobre 2010, n.150, ha modificato l’istituto della mobilità chiarendone la nozione, la portata, le modalità applicative e rendendo tale forma di reclutamento come quella principale e obbligatoria.
Gli effetti positivi, anche di risparmio, sulla P.A., sono però tutti da dimostrare e anzi non mancano serie ragioni che inducano a pensare a tutt’altro.Le motivazioni della riforma dell’istituto ce le dice lo stesso Brunetta all’art.3 del citato decreto in cui si individua il fine nel “ridurre il ricorso a contratti di lavoro a termine, a consulenze e a collaborazioni, disposizioni dirette ad agevolare i processi di mobilità, anche volontaria, finalizzati a garantire lo svolgimento delle funzioni pubbliche di competenza da parte delle amministrazioni che presentino carenza di organico” e “favorire i processi di mobilità intercompartimentale del personale delle Pubbliche Amministrazioni”.

Pare chiaro che le intenzioni sono essenzialmente economiche agendo sulla spesa del personale (con la mobilità la spesa complessiva della P.A. non cambia in quanto non ho nuove assunzioni) e la riduzione del precariato nel senso della sua eliminazione.
Per questo non è possibile alcuna nuova assunzione senza prima aver esperito le procedure di mobilità per la copertura di vacanze in organico. Le modalità attraverso cui selezionare il personale sono decise attraverso regolamenti, concertati con i sindacati, che devono prevedere procedure obiettive e trasparenti, dando comunque sempre la precedenza al personale comandato.
Fatta la regola, trovato l’inganno.
Infatti quello che sta accadendo è un ricorso sempre maggiore all’istituto del comando, in modo che il dipendente che voglia cambiare amministrazione al primo bando di mobilità entri di sicuro nell’organico, avendo la precedenza per legge, dell’amministrazione presso cui è comandato.

Inoltre da una visione sistematica delle norme che sottendono la riforma della P.A., poco si concilia l’istituto della Mobilità così modificato con il sistema di contrappesi e misure volte ad un miglior funzionamento della P.A. e riassumibili nella scontata dicotomia premi-punizioni.
I principi su cui si basa il Decreto 150 sono fissati dagli artt. 2,5 e 6 della legge delega 15/2009 sulla premialità e concorsualità, ribaditi per tutto il personale in servizio, ivi inclusa la dirigenza, cui si accompagna quello del potenziamento delle loro prerogative di scelta, gestione ed incentivazione delle risorse umane assegnate.

Appare evidente, quindi, come poco sia coerente il riformato istituto della mobilità con tali principi ispiratori della riforma poi riassunti e attuati nello stesso decreto 150.
Per eliminare tale antinomia occorre ripensare ai termini applicativi dell’istituto della mobilità, così da poter contemperare i sottesi scopi di razionalizzazione della spesa complessiva del personale, con l’incentivazione e lo sviluppo professionale di quello già in servizio presso gli enti che presentino vacanze in organico, nonché con le politiche di sostegno all’occupazione giovanile e di svecchiamento dell’apparato burocratico, che passano anche attraverso il reclutamento nella pubblica amministrazione.
Altrimenti lo sviluppo della professionalità e sostegno al lavoro risulterebbero impedite ab origine se la mobilità fosse intesa come l’unica forma di reclutamento per gli enti deficitari, soprattutto nel caso in cui si tratti di regioni ed enti locali, così fortemente impediti nell’esercizio delle rispettive autonomie.


Pur nell’obbligatorietà del previo esperimento della mobilità si dovrebbe lasciare ad ogni ente locale la possibilità di prevedere, attraverso appositi regolamenti, l’individuazione della quota-parte dei posti vacanti da ricoprire mediante ricorso alla mobilità, piuttosto che al concorso esterno (con la riserva del 50% agli interni), tenuto conto del loro numero complessivo, della loro qualifica funzionale, della loro storia e professionalità.
Quest’ultima impostazione trova conferma nel tenore letterale del novellato c.1, art.30, D.Lgs. 165/2001 nel quale si afferma che “le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto…” non aggiungendo né l’articolo “i” davanti a posti, né l’aggettivo “tutti” i posti, lasciando intendere che la mobilità possa riguardare solo una parte di essi.

* Direttivo Nazionale FP-CGIL

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